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Benessere

Gli chef come ambasciatori dell’uva da tavola? Certo!

Ho sempre creduto nel ruolo che gli chef – possiamo chiamarli anche più semplicemente cuochi – hanno nella valorizzazione delle materie prime che noi produttori cerchiamo di produrre con fatica e passione. Di fatto rappresentano un fantastico trait d’union con il consumatore finale perché offrono a tutti noi spunti, magari anche non conosciuti, per le nostre preparazioni quotidiane.
Mi ha fatto, quindi, molto piacere vedere il video che vi riporto sopra (cliccate sull’immagine), realizzato dall’Accademia Barilla e che vede proprio uno chef spiegare, come l’Italia sia non solo un ottimo produttore di vino, ma anche di uva da tavola, aspetto che a volte, forse, ci si dimentica.

Inoltre, viene sottolineata la versatilità del consumo dell’uva da tavola, come salutare snack durante la giornata, ma anche come ingrediente per piatti, dal salato al dolce, in abbinamento con formaggi, carne e verdure.
Buon visione!

 

Benessere

Chi mangia l’uva per Capodanno…Buon 2014!

Ogni luogo ha le sue tradizioni a tavola che durante le festività natalizie trovano ovviamente grande spazio nelle case di ognuno di noi. Spesso ci sono alimenti e preparazioni che rappresentano come una sorta di veri e propri talismani portafortuna per il nuovo anno che sta per arrivare. Qualche esempio? Oggi un articolo pubblicato sul sito D La Repubblica ne cita alcuni classici che siamo soliti consumare proprio durante il cenone di fine anno: si va dalle immancabili lenticchie al riso, dalle bietole ai mandarini, e ancora melagrana, peperoncini e il curioso “Mano di Budda”, un agrume originario di Cina, Giappone e India, coltivato anche in alcuni vivai italiani.

C’è anche l’uva da tavola naturalmente. Da sempre simboleggia l’abbondanza, tanto che un antico proverbio recita: “Chi mangia l’uva per Capodanno conta i quattrini tutto l’anno”. Quindi raramente mancherà sulle tavole di molti italiani sia stasera che domani a pranzo. Ovviamente anche in casa Di Donna, sebbene noi viviamo immersi nell’uva da tavola ogni giorno dell’anno, non ci faremo mancare qualche chicco d’uva.

Ma c’è un Paese dove mangiare i chicchi d’uva al rintocco della mezzanotte del 31 dicembre è un vero e proprio rito, le cui origini non sono peraltro del tutto chiarissime. È la Spagna. Tradizione vuole che allo scoccare della mezzanotte si mangino 12 chicchi d’uva ad ogni rintocco delle campane. Chi ce la fa, propizierà soldi e fortuna. Vero o no che sia, noi vi auguriamo serenità a felicità per un radioso 2014 a prescindere.

Auguri!
Fonte foto: barcelonapoint.com

Innovazione

Report e i brevetti

In un post di ottobre avevo cominciato a raccontare qualcosa del mondo dell’uva senza semi, consapevole che per molti consumatori, soprattutto italiani, questo vero e proprio universo appare a volte ancora misterioso. Spesso, soprattutto in Italia, quando ci si accosta all’uva da tavola senza semi molti si domandano, infatti, se dietro ci sia qualcosa di “ambiguo”. Se, in poche parole, questo frutto nasca da una manipolazione contro natura attuata dall’uomo. Per sgombrare immediatamente il campo da eventuali dubbi partiamo subito dalla risposta: no. Assolutamente no.

I breeder, vale a dire dei costitutori varietali, dopo anni di studi e ricerche scoprono nuove varietà di uva senza semi incrociando varietà già esistenti. Tutto qua. Gli oramai famigerati OGM non c’entrano nulla. Per ottenere una nuova varietà di uva senza semi i ricercatori non modificano geneticamente alcunché. È invece normale che chi ricerca e trova una nuova varietà di uva senza semi poi possa brevettarla e registrare un marchio. E, quindi, chi vuole coltivare queste varietà può dover pagare delle royalities. Di casi nel mondo dell’uva da tavola senza semi ce ne sono molti e prossimamente vi racconteremo caratteristiche e storia di molte di esse, che noi stessi coltiviamo.

Perché mi viene in mente tutto questo? Riflettevo su una puntata dell’oramai storico programma Report che va in onda su RAI 3. Lunedì 11 novembre ha dedicato una puntata proprio al tema dei brevetti, pur non occupandosi specificatamente di uva senza semi. Quella puntata partiva dai casi di colleghi che coltivano anche le cosiddette “mele club”. Pink Lady®, per esempio, certamente la più famosa. Niente altro che il nome commerciale di un varietà di nome Cripps Pink, originaria dell’Australia, ottenuta dopo aver incrociato altre due varietà, cioè Lady Williams e Golden Delicious. Chi l’ha selezionata ha brevettato la varietà, registrato un marchio commerciale e ora chi vuole coltivarla deve pagare delle royalties. Niente di così misterioso o anomalo. Succede, quindi, la stessa cosa anche nel mio mondo.

Successivamente la puntata si è però occupata invece di semi di colza, anch’essi brevettati e registrati con un macchio commerciale, ma ottenuti attraverso modificazione genetica. La prima cosa che ho pensato è stata: ma così c’è il rischio che un normale consumatore possa aver pensato che tutto ciò che è brevettato sia anche modificato geneticamente!

E questo è un vero problema, perché si rischia di confondere le idee, facendo sorgere sospetti inesistenti a consumatori che invece andrebbero guidati, sgombrando il campo da eventuali leggende metropolitane che non hanno motivo di esistere.

Benessere

Uva da tavola in cucina. Tre ricette dolci sfiziose

Il modo migliore per gustare l’uva da tavola in generale, e ovviamente quella senza semi, è naturalmente quella di mangiarla fresca, al naturale diciamo. Però può certamente diventare un ingrediente sfizioso e originale anche in molte preparazioni. Tralasciando le deliziose marmellate che possiamo creare con l’uva da tavola, ideali per accompagnare la nostra colazione o le nostre merende, ma, perché no, anche in accompagnamento a formaggi, il nostro amato frutto si presta anche ad essere utilizzato in molte altre preparazioni.

Quali?

Beh, girovagando in rete, mi sono imbattuto in sito davvero interessante, si chiama Spigoloso: tante belle ricette, ben spiegate e con foto davvero originali (tra le quali anche quella che vedete in questo post). Tra queste vi segnalo un bel post che parla proprio dell’uva tavola in cucina e dove vengono consigliate tre ricette: gli spiedini di uva caramellata, la schacciata all’uva e la mousse di uva e amaretti.

Per il procedimento delle tre ricette citate da Spigoloso vi lascio alla lettura dell’articolo, però vorrei qui segnalarvi nell’introduzione un passaggio che trovo utile e interessante.

L’autrice dell’articolo, Federica Gemma, infatti, dice:

“Per l’uso dell’uva in cucina mandate a memoria queste semplici istruzioni: adoperando uno spelucchino ben affilato pelate al vivo gli acini, sezionateli a metà, eliminate i vinaccioli. Da qui in avanti è sufficiente astenersi dal cuocere i chicchi, perderebbero fatalmente nerbo e profumi. Se l’uva si accompagna a un piatto caldo, gli acini, puliti nel modo descritto, vanno aggiunti alla preparazione o alla salsa solo all’ultimo momento, prudentemente lontano dal fuoco. Un accorgimento per rendere l’uva lucida è scottare per due secondi il grappolo in acqua bollente”.

Via i vinaccioli, quindi. Se usate quella senza semi, invece, potete risparmiarvi questo passaggio. Perché sono da togliere? Perché sono ricchi di tannini e quindi possono conferire una sensazione di astringenza, quasi amarognola che può dare, quindi, fastidio, sia nelle preparazioni dolci che in quelle salate.

three grapes in different colors isolated on white
Esperienza

Come selezionare nuove varietà di uva da tavola (senza semi)?

Ricerca e sperimentazione. Ci eravamo lasciati così l’ultima volta che abbiamo parlato di uva da tavola senza semi. Ma, nello specifico, cosa significa esattamente? Prima di tutto è bene evidenziare come nel nostro mondo esistano i cosiddetti breeder, vale a dire i costitutori varietali. La maggioranza di essi ha sede negli Stati Uniti, in particolare in California, ma ce ne sono anche in Australia, Brasile o Sudafrica. Cosa fanno esattamente? Selezionano nuove varietà di uva da tavola. Con pazienza, molta pazienza, portano avanti nel corso degli anni centinaia di prove per individuare nuove varietà di uva che abbiano potenzialità produttive e commerciali. Ovviamente, per poter fare tutti questo, i breeder prendono in considerazioni moltissimi aspetti.Difficile elencarli tutti, ma alcuni sono fondamentali e sono alla base del loro lavoro.

Per esempio:

  • le nuove varietà di uva da tavola devono essere fertili, quindi generare molti fiori dai quali poi poter selezionare i grappoli migliori;
  • i grappoli devono avere una forma attraente. Cosa significa “attraente” vi chiederete probabilmente? Una via di mezzo tra tra un grappolo serrato e uno troppo spargolo;
  • Gusto, aspetto ovviamente fondamentale. Non sempre le varietà aromatiche, come il moscato, sono sempre le più gradite dai mercati. Quindi, proprio a seconda dei mercati di riferimento si sceglieranno varietà molto profumate e dolci, così come quelle che invece hanno un impatto al gusto diciamo più neutro, che non ha una valenza negativa;
  • È fondamentale che la nuova varietà non abbia bisogno di troppi interventi in vigna. Perché? Perché sono costosi, inquinano e hanno bisogno dell’intervento di manodopera specializzata che non sempre si trova con facilità. Tutti aspetti che, se tenuti sin dall’inizio sotto controllo, quindi sin dalle prove che si fanno per creare nuove varietà, consentono ti ottimizzare meglio nostro lavoro di produttori e di mantenere i costi bassi, non solo per noi, ma anche per il consumatore finale;
  • la nuova varietà deve avere una produttività buona e costante nel tempo e dare origine ad un’uva che abbia bune doti di conservabilità. La famosa shelf life;
  • la data di maturazione e raccolta deve avere una logica. deve cioè far sì che l’uva poi arrivi sul mercato all’interno di una finestra temporale interessante dal punto di vista commerciale. Quindi aspetti come la precocità di una varietà, piuttosto che la sua tardività, sono caratteristiche affatto secondarie quando un breeder deve decidere se puntare o meno sullo studio e la sperimentazione di una varietà di uva da tavola.